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Progetto FDG |
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Articolo FDG
Progetto per la realizzazione di Beta Cellule
mediante manipolazione genica da autotrapianto
Comitato Tecnico Scientifico
Un rappresentante della FDG (Dr Rocca Panetta) Un Genetista (Pror Domenico Casa) Un Fisiologo (Prof Guglielmo Martino) Un Pediatra Diabetologo (Prof Filippo De Luca) Un Coordinatore (Antonio Cabras)
Premesso che il diabete è una malattia determinata da una carente o assente produzione di insulina determinata da un esaurimento funzionale o da una distruzione delle cellule Beta delle isole di Langherans, questo progetto si pone lo scopo di ricostruire il patrimonio funzionale delle isole pancreatiche mediante manipolazione genica delle cellule provenienti dallo stesso soggetto onde evitare il problema del rigetto.
Attualmente la via più seguita per la risoluzione della malattia diabetica è quella del trapianto sotto le seguenti forme:
- trapianto in toto di pancreas, da cadavere a ricevente. Essendo tale metodica un trapianto eterologo, il ricevente è sottoposto ad una permanente terapia antirigetto che non è scevra da rischi e danni all'organismo. La prognosi è favorevole per alcuni anni.
- trapianto abbinato di rene-pancreas. E' quello che allo stato attuale ha maggiore possibilità di sopravvivenza e durata. Non è scevro da rischi in quanto il paziente deve essere sottoposto a trattamento coi farmaci immunosopressori, ha frequente possibilità di infezioni a causa della deviazione vescicale del pancreas esocrino.
- trapianto di isole pancreatiche mediante innesto. Questa via, anche se teoricamente la più accessibile, in realtà si è dimostrata poco efficace per la scarsa sopravvivenza delle isole innestate. Il paziente deve in ogni casa fare terapia antirigetto, le isole vanno incontro ad invecchiamento ed esaurimento rapido e precoce, forse per l'effetto dei farmaci antirigetto Si sta provando ad avvolgere queste isole con collagene per limitare la regressione ed il rigetto ma ancora insultati sono scarsi.
La FDG, sulla scorta di quanto emerso al convegno di San Giovanni in Fiore del 18.04.1998, propone il seguente progetto di ricerca:
Fase I: Ricerca bibliografica sugli innesti di geni per la trasformazione di cellule funzionanti in altre forme. In nodo particolare sull'uso di geni per la produzione d'insulina.
Fase II: Coltura di cellule e loro differenziazione. In letteratura risulta che tali esempi sono stati effettuati mediante l’utilizzo di fibrociti. Queste cellule, man mano che si riproducono perdono le loro caratteristiche specifiche fino a diventare quasi totipotenti. E' in questo momento che si potrà passare alla fase successiva. (Prof. Gianfranco Risuleo, Un. La Sapienza). Per evitare il successivo rigetto. tali cellule dovranno essere prelevate dallo stesso paziente, magari mediante biopsia. Tra le diverse linee cellulari, si ritiene utile l'utilizzo di cellule epatiche al posto degli sperimentati fibrociti. la scelta degli epatociti deriva dal fatto che questi hanno già insito il meccanismo della sensibilità al glucosio. Infatti, le cellule epatiche trasformano il glucosio in glicogeno e viceversa, quindi il "sensore" del glucosio è già nella loro memoria. In tal modo i geni da innestare saranno solo quelli deputati alla produzione di "insulina" e non a tutta la batteria della glucosensorialità. Altro motivo che ci fa propendere per gli epatociti è la loro condizione di cellule endocrine. A tal proposito occorre ricordare che simili esperimenti sono stati condotti con cellule ipofisarie proprio per la loro endocrinocità (però tali cellule non avevano insito il meccanismo della glicosensibilità).
Fase III: Quando le cellule di cui sopra sono regredite allo stato di totipotenzialità allora vi si innestano i geni relativi alla produzione ed esecrezione dell'insulina (sembra sia una batteria unica composta da tre siti genetici).
Fase IV: Coltura. riproduzione e purificazione delle cellule di cui sopra.
Fase V: Innesto, o meglio autoinnesto in quanto trattasi di cellule autologhe, nel paziente mediante infusione intraepatica (o altro sistema da mettere a punto).
Resta però il problema degli anticorpi ICA. Intanto le fasi sperimentali di cui sopra possono essere effettuate in pazienti NON ICA quali, per esempio, in soggetti pancreasectomizzati o affetti da diabete secondario o pancreatite o a litiasi epatica, ecc. Successivamente si potrà passare alla
Fase VI: lo stesso trattamento di cui sopra su pazienti ICA POSITIVI. Per evitare la distruzione delle cellule da parte degli ICA riteniamo possibile le seguenti vie.
PRESUPPOSTO CHE l'aggressione da parte degli ICA avviene in un ben determinato punto della parete della cellula Beta (il sito della cosidetta proteina "P"), abbiamo le seguenti ipotesi:
A) - poiché le cellule trasformate derivano da quelle epatiche, potrebbero non avere sulla superficie la proteina "P". Se cosi è, il problema è risolto.
B) - si potrebbero sottoporre le cellule trasformate ad una specie di "lavaggio" per eliminare la proteina "P" dalla superficie.
C) - si potrebbe mascherare la proteina "P" con delle sostanze o con altri mezzi chimico fisici (cosa che già avviene per altri tipi di cellule).
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© A.G.D. Campania (Associazione Aiuto ai Giovani Diabetici)
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