Progetto ricerca per il 5 per mille
Gentilissimo Antonio,
ieri nel pomeriggio mi ha contattato il prof. Casa per chiedermi se lo accompagnavo a visitare i laboratori di ricerca dove già i biologi lavorano al nostro progetto .Naturalmente sono stata lieta di aver ricevuto l'invito e così stamane siamo andati insieme.
Il laboratorio, fatalità, si trova proprio dietro casa mia ed è inserito in una nuova struttura di Ricerca voluta dal premio Nobel Montalcini che raccoglie istituti di Tor Vergata, CNR e Fondazione S.Lucia.
La stanza preposta al nostro progetto è molto grande e ricca naturalmente di strumentazioni direi quasi futuristiche. All'interno vi lavorano mediamente
4/5 biologi tra cui il dott. Quondam ,il biologo preposto alla prima fase di ricerca che ho avuto il piacere di conoscere.L'altro biologo incaricato, come saprai, è il dott.Federici.
Quondam è stato molto contento di riceverci e ha a lungo parlato con il prof. Casa entrando nei dettagli tecnici e focalizzando quello che proprio in questi giorni stanno portando avanti e affrontando. Diciamo che già la nostra ricerca è stata avviata e mi è sembrato di percepire in tutti un realistico ottimismo e una gran voglia di fare, rispetto un progetto che nel suo divenire ,sta trovando ampi consensi.
Nei dettagli dei vari processi in corso, il Professore. poi ti relazionerà ,perchè per me spiegarti il tutto è veramente cosa difficile .
Siamo rimasti d’accordo con Quondam che mensilmente li andremo a trovare e così avremo sempre la situazione aggiornata.
Mi sembra quindi tutto molto positivo.
Resto a tua disposizione per ulteriori chiarimenti.
Ciao Raffaella
Raffaella ti ha detto che siamo andati al Santa Lucia a visitare il laboratorio dedicato alla ricerca della
F D G, per la quale lavorano quattro persone: una realtà straordinaria che dovrebbe inorgoglire la F D G. In questo momento il lavoro consiste nella preparazione di un vettore d'espressione, da inserire poi in un sistema batterico per la produzione di due proteine. Nell'ultimo incontro, quello del 20 dicembre al B.Gesù, decidemmo di sperimentare parallelamente sia la proteina prodotta dal gene PDX-1 che quella prodotta dal gene Neuro-D. Il primo passo è, conseguentemente, la sintesi chimica dei due geni. Per farlo occorre avere gli oligonucoleotidi adatti, che si possono regolarmente acquistare; sono stati ordinati e sono già arrivati quasi tutti quelli necessari per la sintesi del gene PDX-1. Mancano ancora alcuni oligonucleotidi per la sintesi chimica dell'altro gene, il gene Neuro-D. Intanto sono pronte per essere congiunte ai predetti geni sintetici le sequenze PTD che servono a facilitare l'ingresso delle due proteine omeotiche nelle cellule epatiche. Terminando posso assicurarti che sono in fase avanzata di fabbricazione i vettori per produrre proteine di fusione, nei batteri adatti.
Cari saluti
Domenico Casa
Nuove strategie terapeutiche per il trattamento del Diabete mellito Tipo 1
La FDG dopo anni d'impegno per migliorare, in vari settori, la condizione delle persone con diabete ha deciso di dare uno sguardo alle ricerche in corso, per valutarne la reale portata e individuare la più corrispondente ai bisogni dei suoi associati. Con due obiettivi: a) capire quali sono le ricerche senza futuro e mettere in guardia i soci da stupide illusioni, alimentate dagli interessi professionali ed economici; b) promuovere essa stessa una ricerca che abbia le caratteristiche desiderabili per le persone con diabete che già ora, sebbene a costo di grandi sacrifici, possono condurre una vita normale. Per queste persone è sbagliato proporre interventi complicati, invasivi, incerti.
L'analisi delle ricerche in atto, incluse quelle molto enfatizzate dai media, ha portato alla conclusione che tutte ruotano attorno al trapianto di isole o di cellule pancreatiche. Il difetto fondamentale di queste proposte terapeutiche è che le cellule pancreatiche da trapiantare, in grandi quantità, o si ricavano da cadaveri (rari) o si producono dalle cellule staminali. Le cellule staminali embrionali non si possono manipolare; le cellule staminali adulte sono difficili da ottenere. Nel caso in cui si riesce a lavorare sulla staminali, resta il problema della trasformazione di queste cellule in cellule pancreatiche, ma, sinora nessuno sa proporre come farlo. Ammesso, per ipotesi inverosimile, che quest'ostacolo è superato, bisogna fare i conti con la sopravvivenza delle cellule trapiantate agli inevitabili attacchi del sistema immunitario. Con l'impiego di farmaci immunosoppressori, i rischi sono importanti ed è difficile considerare un gran progresso la sostituzione dell'insulina con farmaci che espongono a complicanze e a rischi d'altre malattie infettive o di nuove patologie tumorali. In ogni caso è inevitabile la ripetizione degli interventi di trapianto, che non è esente da sofferenze. Rappresentativo il caso che proprio in questi giorni i media stanno strombazzando: la donna guarita temporaneamente dal diabete con il trapianto di cellule pancreatiche associato ad un secondo trapianto di cellule staminali prelevate dal suo midollo osseo. Il secondo trapianto dovrebbe proteggere il primo, ma nessuno saprebbe se questo avvenisse e nessuno potrebbe prevedere la durata del trapianto delle cellule pancreatiche. Le cellule pancreatiche, d'altrocanto, e finché sopravvivono, assicurano, ovviamente, la regolazione della glicemia, come sanno anche gli asini. Far credere che la donna sta bene per via di questa mirabolante innovazione del doppio trapianto, è una vera turlupinatura. Solo nel caso che la sopravvivenza delle cellule trapiantate sarà sostanzialmente migliore di quella che si ottiene già ora, e non ha controindicazioni da valutare nel tempo, la tecnica del doppio trapianto avrà diritto di essere considerata proponibile: non ora, non ora.
La FDG, considerando la situazione attuale della ricerca assolutamente insoddisfacente, ha preso l'iniziativa di far preparare un suo progetto e ne ha affidato l'elaborazione al Professor Casa. La FDG lo ha ritenuto valido ed ha intenzione di finanziarlo. La ricerca sarà coordinata dal Professor Bottazzo, Direttore scientifico dell'Ospedale Pediatrico Bambin Gesù, e sarà eseguita nei laboratori che quest'ospedale ha nell'Università di Tor Vergata. Il Professor Federici e la Professoressa Rota sono i responsabili delle due prime fasi della ricerca.
La ricerca della FDG ha l'obiettivo ambizioso di liberare le persone con diabete dalla schiavitù delle iniezioni d'insulina, ripetute più volte durante il giorno, e dalla schiavitù dei controlli stringenti delle glicemie, della glicosilata, ecc. Lo scopo è raggiunto facendo trasformare, definitivamente, alcune cellule del fegato in cellule produttrici d'insulina, mediante proteine prodotte da geni, recentemente identificati.
Il progetto si basa sulla dimostrazione sperimentale che alcuni geni, inseriti nelle cellule epatiche, attivano il gene dell'insulina, che, in queste cellule, normalmente, non lo è. I primi risultati importanti sono stati ottenuti trasferendo, mediante un trasportatore virale, il gene Pdx-1 nel fegato di topi diabetici. Nel fegato dei topi trattati in questo modo, i geni dell'insulina hanno prodotto insulina, e la glicemia è tornata normale, per tutta la durata dell'esperimento. Risultati anche migliori sono stati ottenuti da altri ricercatori, che hanno utilizzato un altro trasportatore virale ed hanno trasferito, nelle cellule epatiche degli animali, altri geni: i geni NeuroD e betacellulina. Questi geni, come il gene Pdx-1, producono sostanze che attivano il gene dell'insulina. Nel fegato degli animali trattati sono comparse cellule secernenti insulina e aggregati cellulari paragonabili alle isole pancreatiche. Le cellule secernenti insulina erano grandi, e localizzate generalmente presso i rami della vena porta, presenti nel fegato. Gli aggregati cellulari, paragonabili alle isole pancreatiche, erano localizzati, generalmente, sotto la capsula epatica. Nei topi trattati la glicemia tornava normale, durante tutto il periodo dell’osservazione sperimentale, che fu di circa 120 giorni.
Un'altra importante osservazione è che nel fegato di topi, resi diabetici mediante trattamento con la sola streptozotocina, compaiono cellule che producono insulina, anche senza alcun altro trattamento. Questi risultati possono essere confrontati con quelli ottenuti da altri ricercatori che hanno osservato la trasformazione di cellule ovali "staminali", presenti nel fegato di roditori adulti, in cellule che producono insulina, dopo esposizione ad alte concentrazioni di glucosio. La spontanea, anche se temporanea, trasformazione d'alcune cellule epatiche in cellule che producono insulina, alla presenza di un'elevata concentrazione di glucosio, potrebbe servire ad interpretare l'ancora misterioso fenomeno della "luna di miele" che si osserva, qualche volta, agli esordi del diabete tipo I.
I risultati di due recenti studi confermano la possibilità di stimolare cellule del fegato a secernere insulina. Nel primo studio gli autori hanno osservato che l’attività del gene Pdx-1, nei topi diabetici, determina la trasformazione di una sottopopolazione di cellule epatiche in cellule simil-b-pancreatiche, capaci di produrre insulina durante tutto il periodo d'osservazione (8 mesi). Tali cellule erano localizzate soprattutto a livello della vena centrale del fegato, determinando così un rilascio diretto dell’ormone nel circolo ematico. Nel secondo studio, cellule del fegato umano, prelevate da cadavere, sono state trattate con virus trasportatori del gene Pdx-1. Dopo questo trattamento, una buona percentuale (15-30%) di tali cellule ha cominciato a produrre insulina, a conservarla in granuli all’interno delle cellule e a secernerla in quantità variabili, corrispondenti alle variazioni della quantità di glucosio presente. In altre parole si sono trasformate in cellule b-pancreatiche. Tali cellule in vitro hanno continuato a produrre insulina per prolungati periodi di tempo; inoltre, ed è questa la novità importante, quando tali cellule sono state impiantate sotto la capsula renale di topi diabetici, ne hanno ridotto sensibilmente l’iperglicemia per tutto il periodo dell’osservazione (60 giorni). A conferma di ciò gli animali, ai quali erano rimosse le cellule umane prima impiantate, ritornavano ad uno stato diabetico grave. Gli studi sopra citati, nel loro insieme, rendono evidente che il fegato può essere considerato un tessuto che può potenzialmente trasformarsi in tessuto pancreatico, se è indotto a farlo da sostanze prodotte da geni specifici come Pdx-1, NeuroD e betacellulina.
Non è possibile applicare all'uomo le tecniche sperimentali descritte, che utilizzano trasportatori virali per inserire alcuni geni nelle cellule epatiche. I virus possono diventare pericolosi. La sistemazione dei nuovi geni nelle cellule è troppo casuale, e la durata della loro attività troppo breve: sarebbe necessario ripetere questo trattamento a brevi intervalli di tempo. Per queste ragioni abbiamo pensato che, per trasformare definitivamente alcune cellule epatiche in cellule b-pancreatiche, si potesse tentare di usare, al posto dei geni Pdx1, NeuroD, betacellulina, le sostanze che essi producono. La ricerca della FDG ha lo scopo di verificare se questo è possibile.
La ricerca si articola in una serie di fasi successive. La prima è la produzione biotecnologica delle proteine codificate dai geni Pdx-1, NeuroD e betacellulina. La seconda è la verifica dell'entrata di queste proteine nelle cellule epatiche e della loro capacità d'indurre la produzione d'insulina. In un primo tempo si useranno tecniche in vitro, in un secondo tempo, tecniche in vivo, sugli animali dei laboratori. Poi sarà il turno dell'uomo.
Federazione Diabete Giovanile